L’epopea
(seconda parte)
9 settembre. Finalmente!
Di buon mattino, a giorno fatto, ci prepariamo a un nuovo piccolo viaggio.
Io, la mia nonna oramai centenaria, mia madre, la mia amica.
Andremo ad Anguillara, stesso ambulatorio dove abbiamo avuto la prima visita a giugno e dove vanno consegnati i fogli con l’esito dell’esame audiometrico fatto a Civitavecchia. Colazione, indumenti, pannoloni per l’incontinenza, sole e caldo, sedia a rotelle: c’è tutto. Siamo pronti.
Appena caricata la sedia a rotelle nel bagagliaio e mia nonna in auto con le solite manovre accorte, mi accorgo che il pannolone che indossa è anomalo. C’è qualcosa che non va: un lembo di plastica esce dai pantaloni. Controllo meglio: è strappato.
In effetti questa cosa non succede di rado, mi dico. Da quando la ASL ha cambiato fornitore, sia la quantità che la qualità è molto diversa da quella dei presidi che venivano forniti in precedenza. I pannoloni sono più leggeri, non contengono abbastanza, le traverse per il letto invece, si lacerano. In tempi di spending review, anche la consistenza di traverse, pannolini, mutande e ammennicoli vari si fa più sottile. Succede così che, 5 volte su 10, questi cosi di ovatta e plastica si strappino, non contengano abbastanza, finiscano prima del necessario. Allora si ricorre all’acquisto, 9 volte su 10, in farmacia o in parafarmacia di altre mutande rinforzate, magari della marca precedente, che funzionava più che bene e meglio assolveva il suo compito.
Ok. Si rientra in casa. Fuori la sedia a rotelle dal bagagliaio, di nuovo, dentro gli improperi chiusi nella testa, trasbordo dalla vettura con le solite manovre accorte e via, andiamo a cambiare il pannolone.
Con circa 40 minuti di ritardo sulla tabella di marcia, ci ritroviamo tutti su strada: io, la mia nonna centenaria, mia madre, la mia amica, la sedia a rotelle ripiegata e messa a dormire nel bagagliaio, i pannoloni di scorta, l’acqua, l’aria condizionata un poco ma non troppo e gli ammennicoli vari.
Daje.
Anguillara: sarai nostra! Il lago di Bracciano, seppure dal finestrino, manco a dirlo è un incanto.
Roba che bisognerebbe andare a fare una gita fuori porta, lì sul lungolago. Magari fermarsi a pranzo in uno di quei ristorantini che ti raccontano il sapore del lago nel piatto mentre lo puoi vedere ogni volta che alzi su il naso dalla tavola, lì a due metri.
Sarà, ma è anche per meraviglie di bellezza come quella, che in Italia sopportiamo tutte le brutture fatte dagli italiani incapaci dietro le scrivanie degli uffici.
Sì, forse se il mio paese fosse meno stordito dalla sua meravigliosa e semplice bellezza, si abituerebbe meno alle sue amenità. Sì, se l’incanto è fuori dell’ufficio, lì ad ogni passo, si sopportano meglio e di più le schifezze che sono dentro, e non so se questo sia un bene.
Arrivati presso l’ambulatorio, nell’unico posticino disabili per vetture, l’ombra è di là da venire. Scendo e chiedo alla mia amica di aprire un ombrello. Lo piazzo sul parabrezza dell’auto, nell’attesa di capire se sarà necessario far scendere anche mia nonna, ma confesso che stavolta (siamo al quarto appuntamento), non ho alcuna intenzione di farlo. Sono partito con la convinzione che dovrà essere il medico ad andare da lei, raggiungerla in auto. Non l’inverso. Me lo devono. Lo devono a lei. Se mi avessero concesso il beneficio della modernità con l’invio di una semplice email (modernità già vecchiotta, a dire il vero), una donna centenaria non si sarebbe dovuta sottoporre a tre – dico 3 – viaggi ad Anguillara, due dei quali – dico 2 – solo per riempire le carte del museo della carta. In tutto, ad oggi, 4 appuntamenti e quasi 500 km percorsi.
Poco male. Entro. L’impiegata del CUP mi riconosce. “Pensavo proprio a lei”, dice. “Mi stavo chiedendo come fosse finita”, aggiunge.
Eccomi. Sono qui. Voglio vedere il medico. Mia nonna è in auto. Non si sposta.
“Oggi c’è. In fondo a destra”, dice.
Di buon mattino, a giorno fatto, ci prepariamo a un nuovo piccolo viaggio.
Io, la mia nonna oramai centenaria, mia madre, la mia amica.
Andremo ad Anguillara, stesso ambulatorio dove abbiamo avuto la prima visita a giugno e dove vanno consegnati i fogli con l’esito dell’esame audiometrico fatto a Civitavecchia. Colazione, indumenti, pannoloni per l’incontinenza, sole e caldo, sedia a rotelle: c’è tutto. Siamo pronti.
Appena caricata la sedia a rotelle nel bagagliaio e mia nonna in auto con le solite manovre accorte, mi accorgo che il pannolone che indossa è anomalo. C’è qualcosa che non va: un lembo di plastica esce dai pantaloni. Controllo meglio: è strappato.
In effetti questa cosa non succede di rado, mi dico. Da quando la ASL ha cambiato fornitore, sia la quantità che la qualità è molto diversa da quella dei presidi che venivano forniti in precedenza. I pannoloni sono più leggeri, non contengono abbastanza, le traverse per il letto invece, si lacerano. In tempi di spending review, anche la consistenza di traverse, pannolini, mutande e ammennicoli vari si fa più sottile. Succede così che, 5 volte su 10, questi cosi di ovatta e plastica si strappino, non contengano abbastanza, finiscano prima del necessario. Allora si ricorre all’acquisto, 9 volte su 10, in farmacia o in parafarmacia di altre mutande rinforzate, magari della marca precedente, che funzionava più che bene e meglio assolveva il suo compito.
Ok. Si rientra in casa. Fuori la sedia a rotelle dal bagagliaio, di nuovo, dentro gli improperi chiusi nella testa, trasbordo dalla vettura con le solite manovre accorte e via, andiamo a cambiare il pannolone.
Con circa 40 minuti di ritardo sulla tabella di marcia, ci ritroviamo tutti su strada: io, la mia nonna centenaria, mia madre, la mia amica, la sedia a rotelle ripiegata e messa a dormire nel bagagliaio, i pannoloni di scorta, l’acqua, l’aria condizionata un poco ma non troppo e gli ammennicoli vari.
Daje.
Anguillara: sarai nostra! Il lago di Bracciano, seppure dal finestrino, manco a dirlo è un incanto.
Roba che bisognerebbe andare a fare una gita fuori porta, lì sul lungolago. Magari fermarsi a pranzo in uno di quei ristorantini che ti raccontano il sapore del lago nel piatto mentre lo puoi vedere ogni volta che alzi su il naso dalla tavola, lì a due metri.
Sarà, ma è anche per meraviglie di bellezza come quella, che in Italia sopportiamo tutte le brutture fatte dagli italiani incapaci dietro le scrivanie degli uffici.
Sì, forse se il mio paese fosse meno stordito dalla sua meravigliosa e semplice bellezza, si abituerebbe meno alle sue amenità. Sì, se l’incanto è fuori dell’ufficio, lì ad ogni passo, si sopportano meglio e di più le schifezze che sono dentro, e non so se questo sia un bene.
Arrivati presso l’ambulatorio, nell’unico posticino disabili per vetture, l’ombra è di là da venire. Scendo e chiedo alla mia amica di aprire un ombrello. Lo piazzo sul parabrezza dell’auto, nell’attesa di capire se sarà necessario far scendere anche mia nonna, ma confesso che stavolta (siamo al quarto appuntamento), non ho alcuna intenzione di farlo. Sono partito con la convinzione che dovrà essere il medico ad andare da lei, raggiungerla in auto. Non l’inverso. Me lo devono. Lo devono a lei. Se mi avessero concesso il beneficio della modernità con l’invio di una semplice email (modernità già vecchiotta, a dire il vero), una donna centenaria non si sarebbe dovuta sottoporre a tre – dico 3 – viaggi ad Anguillara, due dei quali – dico 2 – solo per riempire le carte del museo della carta. In tutto, ad oggi, 4 appuntamenti e quasi 500 km percorsi.
Poco male. Entro. L’impiegata del CUP mi riconosce. “Pensavo proprio a lei”, dice. “Mi stavo chiedendo come fosse finita”, aggiunge.
Eccomi. Sono qui. Voglio vedere il medico. Mia nonna è in auto. Non si sposta.
“Oggi c’è. In fondo a destra”, dice.
Otorino. Ore 12.
– Buongiorno.
– Buongiorno.
– Ci rivediamo. Sono passati tre mesi. Meno male che doveva essere una cosa veloce.
– Eh, in Italia le cose vanno così.
– Già! Vanno così. Ecco i fogli.
– Ha portato l’esame audiometrico?
– Certo, come mi aveva chiesto.
– Bene. Sua nonna?
– È in auto. Mi aveva spiegato che mia nonna deve essere presente, ma che in effetti non serve. L’importante è l’esame. Giusto?! È in macchina. Se la vuole vedere, è lì fuori.
– La dovrebbe portare dentro.
– Devo scaricare la sedia a rotelle. Fare un trasbordo. Non penso, è delicata. Se è necessario può visitarla fuori.
– Ma…
– Insisto.
– Vediamo i fogli.
– Sono sul tavolo.
– Ah, ecco, bene… (Legge i fogli)… Ma perché è venuto?
– In che senso?
– Poteva anche non venire, a Civitavecchia hanno già fatto tutto!
– …
– La dottoressa le ha già prescritto l’apparecchio. Io non servo a niente.
– Mi dica che è uno scherzo.
– Qui è già tutto scritto. La collega ha fatto quello che avrei dovuto fare io. Mi dispiace che sia venuto per la seconda volta, poteva anche non farlo, non era necessario.
– La terza.
– No, è venuto a giugno. Io le ho chiesto di fare l’esame, che vedo ha fatto ad agosto a Civitavecchia. Siamo a settembre. La seconda.
– Sono… No, siamo venuti anche ad agosto. Lei era in ferie.
– Agosto?! Ma non le hanno…
– No, non hanno telefonato. Ma neanche lei mi ha detto che avrei potuto fare tutto a Civitavecchia. E neanche a Civitavecchia mi hanno detto che avrei potuto fare a meno di tornare ad Anguillara.
– Ma tu pensa…
– Eh, pensa!
– Sì, è che noi a volte diamo qualcosa per scontato. Facendo questo lavoro tutti i giorni ci si dimentica di spiegare alcune cose.
– Mi pare di averle chiesto e richiesto spiegazioni, all’epoca. E mi pare anche di essere stato fin troppo educato.
– Mi ricordo tutto. Lei è stato paziente. È vero.
…E continua così una conversazione che avrebbe dell’assurdo, se non fosse che oramai eravamo ad Anguillara, che avremmo potuto portare i risultati da un fornitore di apparecchi acustici fin dal giorno dopo dell’esame fatto a Civitavecchia, che avremmo potuto risparmiare un altro mese di tempo, due viaggi inutili e tanti disagi. Ecco il rispetto che si deve a una centenaria.– Dunque devo portare l’esame in un centro.
– Sì, con il loro preventivo e con la diagnosi di ipoacusia si recherà presso la sua ASL, dove decideranno quando e se ne avrà diritto.
– Decideranno?! Diritto?! Che significa? E perché abbiamo fatto tutto questo allora?!
– Beh, sì… Certamente che ha diritto… Invalida al 100%… L’importante è che nel foglio della ASL ci sia scritta la parola “ipoacusia”.
– Eccoli, i fogli.
– Beh, allora, vediamo… Mi pare che… Forse qui… Ipo… Ipoa… Affetta da… Non si capisce, la diagnosi è in corsivo. Insomma, diciamo che c’è scritto.
– Diciamo?!
– Sì. Mi pare proprio che ci sia scritto.
– Senta, scusi, scritto o non scritto, la signora non sente. Siamo andati alla ASL di zona, siamo venuti qui, ancora ambulatorio ASL, c’è un esame audiometrico fatto in un altro centro ASL, c’è la sua visita, c’è questo controllo, anzi, mi faccia una diagnosi, mi scriva anche lei che l’ha vista, un bel certificato di ipoacusia.
– Eh, per scriverlo dovrei visitarla.
– L’ha già fatto a giugno. Comunque è in macchina. Se vuole…
– Ah. Va bene. La seguo
Ecco. Ci alziamo. Percorriamo i corridoi passando davanti alle signore del CUP, che ci guardano con un’espressione tra lo stupore e l’interdetto, arriviamo al parcheggio di fortuna, saliamo in auto. Le guarda un orecchio. Le guarda l’altro. Mia nonna ovviamente non sente un tubo. Rientriamo. Mi rilascia il certificato, ma so già che sarà carta straccia.
Già, per come vanno le cose…
Viaggi inutili. Certificati redatti in corsivo che non si capisce cosa c’è scritto. Esami improbabili. Tempi biblici.
Sì, ho capito. Andrò a farmi fare un preventivo al più presto. Poi alla fine mi diranno se ne ha bisogno.
Sì, ho capito. L’Italia è un paese buono per andare in vacanza. Forse.
Sì, ho capito. Andiamo a pranzo al lago, che è meglio.